Emanuele Arielli e Giovanni Scotto hanno felicemente intrapreso un’iniziativa di chiara complessità: tentare un’introduzione ad una teoria generale del conflitto che, muovendo dalla sfera individuale (microsociale) approdi a quella collettiva (macrosociale), attraverso lo studio dei processi, delle strutture, degli elementi comuni, delle trasformazioni e infine delle opportunità di gestione delle relative dinamiche. L’idea è infatti quella dell’esistenza di un continuum tra i conflitti della vita quotidiana e quelli che riguardano la società e il mondo. Il risultato è un lavoro assai accurato ed interessante, denso di riferimenti e argomentazioni, approfondito ed interdisciplinare. Il tema di fondo della ricerca è del resto esplicitato fin dall’inizio: pensare al conflitto semplicemente come opposizione fa perdere di vista un elemento essenziale per poterlo capire: la cooperazione. Un incipit significativo, che ci guida in una direzione ben individuata dagli Autori, attraverso un percorso di grande attualità, ricercare cioè gli aspetti positivi dei conflitti inserendoli in una relazione più ampia, per trasformarli costruttivamente. Se la sfida di un mondo senza conflitti è certamente utopica, è questo il senso, lo è molto meno immaginare e ricercare la capacità, nel nuovo millennio, di dare vita a procedure e strumenti che possano trasformare in modo positivo la dinamica conflittuale, soprattutto nei casi più gravi in cui questa si rappresenta nella sua forma estrema, la guerra, con il suo corollario di violenza, dolore e morte. Se è vero, d’altro canto, quanto riferito da alcuni ricercatori, che hanno calcolato in 3421 gli anni di guerra compiuta dall’intera umanità, a fronte di soli 286 anni di pace, non meraviglia che da sempre teorie sul conflitto abbiano influenzato il pensiero umano, nel tentativo di interpretare il comportamento di individui e popoli. Gli Autori si soffermano dunque giustamente, con ampi riferimenti, su tutte quelle teorie, di diversa origine, che hanno spaziato dalle ipotesi sulle cause - biologiche, etologiche, psicologiche - fino alle visioni di impostazione sociologica sull’inevitabilità della guerra. Gli sviluppi più recenti costituiscono l’ultimo ma non meno importante tassello, e sono rappresentati dagli studi sulla mediazione e sulla risoluzione delle controversie internazionali che, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, ponendo a fondamento i diritti dell’uomo ed il ruolo delle organizzazioni internazionali hanno cercato di fare progressi sulla strada di una governance mondiale, anche attraverso l’uso della forza della comunità internazionale (peacekeeping, peacemaking, peacebuilding). Gran parte delle Costituzioni moderne, soprattutto quando emanate in periodo post-bellico, come quella italiana, contengono dichiarazioni solenni contro la guerra, spesso enunciate nei principi fondamentali, ma interrogativi come a cosa serve una guerra? ovvero esiste una guerra giusta? continuano ad alimentare un dibattito mai sopito che riguarda domande etiche e morali ma anche questioni politiche di grande peso. Tutte, a ben vedere, legate al quesito filosofico fondamentale sull’idea dell’uomo, se considerato essere prima di tutto sociale e cooperativo o piuttosto conflittuale. E, per ricondurci alla politica, alla visione istituzionalizzata del conflitto come elemento di opposizione positiva da dominare, in un percorso che va da Machiavelli alle teorie di derivazione hegeliana come il marxismo, ovvero da eliminare, come Hobbes, attraverso il consenso coercitivo. Anche per la rilevanza di questo percorso intellettuale, oggi da rileggere con occhi nuovi alla luce dell’assetto geopolitico del mondo contemporaneo, caratterizzato da scenari di conflitto spesso del tutto nuovi rispetto agli schemi classici, è soprattutto la terza parte del lavoro di Arielli e Scotto a proiettarsi sul palcoscenico dell’attualità. L’oggetto sono appunto le tecniche di trasformazione costruttiva dei conflitti, sia con riferimento delle azioni di primo livello, negoziato e mediazione, sia al campo della gestione del conflitto internazionale. Questioni di grande rilievo che già rischiano, mentre se ne invoca la strategicità, di essere superate dai nuovi scenari nei quali, per dirla con un’immagine abusata, la guerra si esprime senza territori, eserciti e confini.
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